Descrizione
L'allevamento
Su un territorio così ricco di prati e di acqua come quello di Canischio l'allevamento si è diffuso molto presto ed è stato nel passato una risorsa importante. Ogni famiglia sia del paese che delle frazioni possedeva vari animali, unica fonte di reddito oltre all'agricoltura. Fino alla metà del Novecento si allevavano quasi esclusivamente pecore e capre; era raro il possesso di mucche perchè molto costose per le possibilità economiche dell'epoca e ancor meno frequente era la presenza di un maiale all'interno della stalla; si preferivano animali che rendessero al massimo: gli ovini fornivano latte, dal quale si poteva ricavare burro e formaggio; ancora, si potevano produrre indumenti e coperte con la lana ricavata dalla tosatura, mentre dai suini tutto quello che si poteva ricavare era la carne. In alcune stalle era possibile trovare anche da dieci a quindici galline, utili per la produzione di uova. Nei primi anni del Novecento si iniziò, là dove il terreno si faceva più pianeggiante e più favorevole al pascolo, la costruzione di numerosi alpeggi. Possiamo ancor oggi osservare dal paese di Canischio l'alpeggio "Pessa", "d'I Calùs" e appena più in basso di Cima Mares l'alpeggio "Pacchiola".
Sino al 1945-'46 i pastori vi salivano nel mese di maggio con le loro mandrie, e fu in quell'epoca che iniziarono a diffondersi gli allevamenti di bovini, non più solo a livello familiare, ma soprattutto a scopo commerciale.
Dalle cascine situate in pianura, si saliva in alta montagna con una cinquantina di capi; erano rari i "margari" che possedevano e salivano agli alpeggi con cento- cento cinquanta mucche. La razza più diffusa era la valdostana (pezzata bianca e marrone ), preferita per la sua costituzione fisica: più bassa e più robusta di gambe ma soprattutto di ginocchia e di caviglie, fortemente sollecitate nei trasferimenti da valle a monte e viceversa. Non mancavano, comunque, le Olandesi (pezzate bianche e nere) e le Bianche, oggi Piemontesi, anche se più adatte ai pascoli della pianura.
Insieme alle mandrie di bovini si saliva con qualche gallina e con un mulo, utile per scendere a valle con prodotti da vendere, frutto del lavoro di un'intera settimana: burro, formaggio e uova; e per risalire con i prodotti acquistati: farine per pane e polenta e sale.
Tutte le mucche portavano le "cioche" al collo: esse inizialmente servivano a segnalare il transito delle mandrie, che ovunque passassero facevano accorrere non solo i bambini ma anche i più grandi. Giunti all'alpeggio la funzione del campanaccio continuava; in primo luogo segnalava ai passanti che nei paraggi vi era un alpeggio abitato e in secondo luogo, grazie alloro continuo rintocco, salvaguardava il bestiame, facendo fuggire le vipere. A far fuggire i pastori era il freddo, che iniziava a farsi sentire a fine settembre e costringeva i "margari" a scendere a valle con i propri animali.
L'inizio della guerra nel'40 segnò particolarmente la vita degli alpeggi, alcuni vennero bruciati, altri abbandonati e così i pastori scelsero altre destinazioni.
Il numero dei capi presenti sul territorio è andato gradualmente diminuendo, ma dati certi risultano solo da quando nel 1961 sono cominciati i censimenti dell'agricoltura. In quell'anno l'allevamento era ancora costituito da quantità rilevanti di capi, ma soprattutto era differenziato; invece il rilevamento successivo evidenzia già la scomparsa di tutti i tipi d'animali e la permanenza esclusiva di 380 bovini. Il decennio compreso tra il'70 e 1"80 è stato il periodo più infausto per l'allevamento canischiese; infatti, se è vero che il III censimento dell'agricoltura (1982) presenta nuovamente una certa varietà di animali, è anche vero che il loro numero solo nel caso dei suini supera appena la decina (11 capi); questo indica certamente che l'attività non è ritenuta economicamente conveniente e non è praticata per produrre reddito, ma solo per sostenere il consumo famigliare.
Una ripresa sia nella varietà degli animali sia nel loro numero si è avuta nel corso degli anni Ottanta, perciò il censimento del 1990 rileva 97 bovini.
L'inversione della tendenza fu dovuta all'iniziativa della Comunità Montana Alto Canavese che all'inizio del decennio propose la fondazione della Cooperativa Agricola "Alta Val Gallenca" per creare opportunità di lavoro e frenare lo spopolamento della montagna.
In quel periodo ogni stalla di tipo tradizionale possedeva 3-4 bovini, con 1-2 addetti a conduzione familiare e con un reddito decisamente scarso.
Fondatori della cooperativa furono gli agricoltori locali che, quando nel 1986 fu ultimata la costruzione della stalla nella frazione Rua Inferiore, con il loro bestiame hanno costituito il patrimonio bovino della cooperativa stessa.
Nei 1000 mq del capannone prefabbricato è ricoverato il bestiame e depositato il foraggio. A questa prima costruzione si sono, poi, aggiunti:
Stalla sociale:
un deposito per gli attrezzi;
un locale mungitrici con l'impianto lattodotto;
un locale refrigerazione;
una stalla d'isolamento;
una platea esterna per insilati.
La stalla è provvista di un nastro trasportatore del bestiame, che scarica in una concimaia, e di una serie di macchinari per le operazioni di concimazione, fienagione, preparazione e distribuzione degli alimenti.
Il bestiame in origine era costituito da mucche di razza Valdostana e Grigia Alpina, poi è stato gradualmente sostituito con vacche di razza Bruna, più produttive ma anche sufficientemente rustiche da essere adatte alla zona.
Attualmente la stalla sociale accoglie una cinquantina di capi.
Per la riproduzione oggi viene praticata la fecondazione artificiale, con seme di tori selezionati; tale scelta ha portato ad un aumento della produzione di latte da 17 a 64 quintali per capo.
Intorno alla stalla vi sono pascoli di proprietà dei soci o di altri abitanti del paese per l'estensione di 90 giornate piemontesi (350.000 mq circa).
L'irrigazione è garantita da un impianto costruito dai soci che sfrutta la dell'acqua del torrente Brovino intubata per 2 Km. La fornitura del foraggio verde e di quello secco per l'alimentazione delle mucche è assicurata, nella quasi totalità, dai soci ed è questo anche uno stimolo per mantenere pulito un territorio, che altrimenti sarebbe rapidamente ricoperto da sterpaglie e boschi.
L'allevamento oggi
Il V Censimento Generale dell'Agricoltura, effettuato nel 2000, è suddiviso in sette sezioni di analisi, di queste abbiamo preso in esame le prime sei. Il numero totale delle Aziende censite è 19, di queste la quasi totalità, ben 18, è condotta direttamente dal coltivatore; i prodotti servono prevalentemente per il consumo familiare; infatti, 3 aziende hanno venduto solo parte dei prodotti, soltanto 2 li hanno venduti tutti, mentre le rimanenti hanno consumato quanto hanno coltivato.
Nessuno pratica la viticoltura e si può notare che l'adesione a società cooperative è limitata a 2 realtà, una sola fa parte di un'associazione di produttori. Dall'indagine è emerso che non vi sono seminativi. Per quanto riguarda, invece, le coltivazioni fruttifere, anche se su piccole estensioni, prevale la coltura delle mele per un totale di 30 are; le pesche e le pere occupano un'estensione pari a 27 are per ciascuna coltivazione.
Il terreno adibito ad orti familiari oscilla tra 1 e 5 are; prati e pascoli raggiungono un totale di 17,49ha, con un'estensione massima di 1ha per i prati e di 8ha per i pascoli; boschi e fustaie di conifere e latifoglie raggiungono una superficie tra le 18 e le 90 are; tra i cedui prevalgono quelli composti con 37,48ha, mentre quelli semplici ricoprono 25,49ha.
Nelle aziende 9ha, 14are sono la parte di superficie non utilizzata; invece altre parti sono occupate da fabbricati, cortili e strade poderali, ma anche destinate alla raccolta dei funghi.
Soltanto gli orti ed i prati permanenti, nell'anno considerato, sono stati regolarmente irrigati. Le abitazioni presenti nell'azienda sono occupate solo dal conduttore e dalla sua famiglia, non esiste alcuna attività agrituristica, ne vi sono impianti per la lavorazione o per la trasformazione dei prodotti del suolo.
L'allevamento di bovini consiste in vacche da latte, da carne e da lavoro ( da 2 anni in su); quelli di età inferiore ad 1 anno sono destinati ad essere macellati. Altri allevamenti riguardano conigli e pollame, ma non pulcini di un giorno prodotti con incubazione artificiale.
I mezzi meccanici utilizzati sono motocoltivatori, motozappe, motofresatrici, motofalciatrici ed alcuni trattori.
lo sviluppo dell'agricoltura
Negli anni più vicini a noi l'agricoltura ha perso molta dell'importanza che aveva una volta.
Questo fenomeno è precisamente documentato dai censimenti del 1961, 1970, 1982 e 1990: la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) nel 1970 era di 489,56ha, mentre già solo nel 1982 era scesa a 282,89ha.
Nel 1970 la maggior parte della SAU era adibita a pascoli e prati permanenti (451,93ha) e la superficie boschiva ricopriva 396,09ha. Invece nel 1982 la superficie di prati e pascoli permanenti era diminuita a 276,45ha a vantaggio di quella boschiva aumentata a 483,44ha.
La coltivazione della frutta nel 1970 era la più praticata, con 61 aziende ed una superficie di 23,82ha, come nel 1982, ma con un numero di aziende ridotto a Il ed una superficie di 5,73ha.
Nel 1970 esistevano coltivazioni ortive (40 aziende ed un'area di 1,2ha) e venne introdotta la vite, anche se su una superficie ridotta (13 aziende su 3,02ha); nel 1982 queste di coltivazioni erano già state abbandonate.
l'agricoltura nel primo '900
All'inizio del XX secolo la popolazione contadina delle campagne e delle montagne andava organizzandosi in leghe e società di mutuo soccorso di ispirazione prevalentemente cattolica, che rinsaldarono gruppi fino a quel momento inerti degli strati intermedi della popolazione. In quegli anni si rafforzarono i mezzadri, i piccoli affittuari e i piccoli proprietari: nel biennio 1907-1909 le leghe costituite in Italia furono 84 e anche a Canischio, alla fine del secolo, era stata fondata da un gruppo di cittadini la Società di Mutuo Soccorso Agricola Operaia con lo scopo di sostenere gli associati e provvedere al commercio di prodotti con prezzi calmierati. Nel 1915, quando il primo conflitto mondiale era ormai alle porte, i contadini non volevano la guerra. Il loro no al conflitto fu esteso ed omogeneo e non dipese da cause esterne, ne dalla condizione socio-economica: certo, man mano che ci si avvicinava alle zone più depresse ed arretrate, dalla pianura alla montagna, la passività aumentava, ma si trattava di un atteggiamento di rassegnazione proprio di chi si sente impossibilitato a ribellarsi.
Nel periodo a cavallo tra le due guerre, nel territorio di Canischio continuavano a svolgersi attività prevalentemente basate sull'agricoltura e sull'allevamento; in un panorama economico per lo più limitato al piccolo commercio locale e all'autoconsumo, cominciava ad emergere qualche attività commerciale destinata a luoghi diversi, ampliando il mercato: fu prima il commercio del legname, continuò quello delle mele, proseguì quello delle noci... finchè il boom economico e lo sviluppo dell'industria in pianura non diede il via a quell'emorragia di popolazione dalla montagna che ancora non si è arrestata. Città e campagna, ancora una volta, si dimostravano realtà antagonistiche nella storia d 'Italia.
la vita quotidiana
Fino alla metà del secolo ed anche un po' oltre, la vita quotidiana nel periodo invernale aveva come punto di riferimento la stalla, che era il luogo più caldo di tutta la casa. Nei mesi freddi, infatti, per scaldarsi si sfruttava il calore emanato dal bestiame e perfino i bambini erano partoriti negli ambienti caldi ricavati nella parte alta della stalla stessa. In quegli stessi luoghi si svolgeva anche la vita comunitaria, molto diversa da quella odierna, perchè tra vicini ci si incontrava la sera e si raccontavano gli avvenimenti dalla giornata. I discorsi si protraevano fino a tarda sera, che allora voleva dire verso le ore 22, non di più perchè al mattino bisognava svegliarsi presto per andare al lavoro. In estate il punto di ritrovo era l'aia. Chi si incontrava per parlare, però, erano per lo più gli uomini, perchè le donne rimanevano in casa a svolgere le loro quotidiane mansioni, a filare e a tessere, ad accudire bambini e vecchi. Questi ultimi solitamente passavano gran parte del loro tempo nella lobbia, cioè su un balcone coperto situato al primo piano.
Fino alla seconda guerra mondiale Canischio è stato un paese economicamente autosufficiente. V i erano due forni che producevano il pane; due mulini, uno dei quali è rimasto attivo fino alla fine degli Anni Quaranta, per rifornire i forni stessi; e ben tre locande, piuttosto conosciute, dove i forestieri e i villeggianti potevano sostare: la Società, l'albergo Argentino e la locanda del Black, situata dove attualmente si trova il tabacchino.
Negli Anni Trenta erano attive ben due banche e la lavorazione della canapa poteva contare su venti telai. Le ragazze filavano la tela di canapa per il corredo e, quando due volte l'anno passava l'uomo che comprava i capelli, esse si tagliavano le trecce e le vendevano. Con il danaro ricavato acquistavano del cotone, da filare insieme alla canapa per ottenere lenzuola più morbide, oppure la coperta bella per il letto di nozze. Non si usava un corredo molto ampio: sei lenzuola (tre sopra e tre sotto), due coperte (una bella per le feste e una più andante da usare tutti i giorni), qualche asciugamano e poca biancheria intima; soldi ce n' erano pochi e chi possedeva una casa la lasciava in eredità al figlio maschio.
Nella seconda metà del secolo le cose sono profondamente cambiate: i giovani hanno cercato lavori meglio retribuiti nelle fabbriche, hanno fatto studiare i propri figli e molte delle loro attività hanno cominciato a gravitare intorno ai più attrezzati centri della pianura. Lo spopolamento della montagna e l'invecchiamento della popolazione dei piccoli centri come Canischio sembrano fenomeni generalizzati e pressoché inevitabili. In paese sono rimaste poche persone, prevalentemente anziani, la scuola elementare è frequentata da 6 bambini soltanto.
Di recente si è stabilito in paese qualche forestiero... può darsi che l' aria buona del paese, tanto limpida da far brillare la luna, 'l sul 'd Canisciu, come se fosse il sole cominci nuovamente ad attirare non solo i villeggianti, ma anche dei nuovi abitanti.
Su un territorio così ricco di prati e di acqua come quello di Canischio l'allevamento si è diffuso molto presto ed è stato nel passato una risorsa importante. Ogni famiglia sia del paese che delle frazioni possedeva vari animali, unica fonte di reddito oltre all'agricoltura. Fino alla metà del Novecento si allevavano quasi esclusivamente pecore e capre; era raro il possesso di mucche perchè molto costose per le possibilità economiche dell'epoca e ancor meno frequente era la presenza di un maiale all'interno della stalla; si preferivano animali che rendessero al massimo: gli ovini fornivano latte, dal quale si poteva ricavare burro e formaggio; ancora, si potevano produrre indumenti e coperte con la lana ricavata dalla tosatura, mentre dai suini tutto quello che si poteva ricavare era la carne. In alcune stalle era possibile trovare anche da dieci a quindici galline, utili per la produzione di uova. Nei primi anni del Novecento si iniziò, là dove il terreno si faceva più pianeggiante e più favorevole al pascolo, la costruzione di numerosi alpeggi. Possiamo ancor oggi osservare dal paese di Canischio l'alpeggio "Pessa", "d'I Calùs" e appena più in basso di Cima Mares l'alpeggio "Pacchiola".
Sino al 1945-'46 i pastori vi salivano nel mese di maggio con le loro mandrie, e fu in quell'epoca che iniziarono a diffondersi gli allevamenti di bovini, non più solo a livello familiare, ma soprattutto a scopo commerciale.
Dalle cascine situate in pianura, si saliva in alta montagna con una cinquantina di capi; erano rari i "margari" che possedevano e salivano agli alpeggi con cento- cento cinquanta mucche. La razza più diffusa era la valdostana (pezzata bianca e marrone ), preferita per la sua costituzione fisica: più bassa e più robusta di gambe ma soprattutto di ginocchia e di caviglie, fortemente sollecitate nei trasferimenti da valle a monte e viceversa. Non mancavano, comunque, le Olandesi (pezzate bianche e nere) e le Bianche, oggi Piemontesi, anche se più adatte ai pascoli della pianura.
Insieme alle mandrie di bovini si saliva con qualche gallina e con un mulo, utile per scendere a valle con prodotti da vendere, frutto del lavoro di un'intera settimana: burro, formaggio e uova; e per risalire con i prodotti acquistati: farine per pane e polenta e sale.
Tutte le mucche portavano le "cioche" al collo: esse inizialmente servivano a segnalare il transito delle mandrie, che ovunque passassero facevano accorrere non solo i bambini ma anche i più grandi. Giunti all'alpeggio la funzione del campanaccio continuava; in primo luogo segnalava ai passanti che nei paraggi vi era un alpeggio abitato e in secondo luogo, grazie alloro continuo rintocco, salvaguardava il bestiame, facendo fuggire le vipere. A far fuggire i pastori era il freddo, che iniziava a farsi sentire a fine settembre e costringeva i "margari" a scendere a valle con i propri animali.
L'inizio della guerra nel'40 segnò particolarmente la vita degli alpeggi, alcuni vennero bruciati, altri abbandonati e così i pastori scelsero altre destinazioni.
Il numero dei capi presenti sul territorio è andato gradualmente diminuendo, ma dati certi risultano solo da quando nel 1961 sono cominciati i censimenti dell'agricoltura. In quell'anno l'allevamento era ancora costituito da quantità rilevanti di capi, ma soprattutto era differenziato; invece il rilevamento successivo evidenzia già la scomparsa di tutti i tipi d'animali e la permanenza esclusiva di 380 bovini. Il decennio compreso tra il'70 e 1"80 è stato il periodo più infausto per l'allevamento canischiese; infatti, se è vero che il III censimento dell'agricoltura (1982) presenta nuovamente una certa varietà di animali, è anche vero che il loro numero solo nel caso dei suini supera appena la decina (11 capi); questo indica certamente che l'attività non è ritenuta economicamente conveniente e non è praticata per produrre reddito, ma solo per sostenere il consumo famigliare.
Una ripresa sia nella varietà degli animali sia nel loro numero si è avuta nel corso degli anni Ottanta, perciò il censimento del 1990 rileva 97 bovini.
L'inversione della tendenza fu dovuta all'iniziativa della Comunità Montana Alto Canavese che all'inizio del decennio propose la fondazione della Cooperativa Agricola "Alta Val Gallenca" per creare opportunità di lavoro e frenare lo spopolamento della montagna.
In quel periodo ogni stalla di tipo tradizionale possedeva 3-4 bovini, con 1-2 addetti a conduzione familiare e con un reddito decisamente scarso.
Fondatori della cooperativa furono gli agricoltori locali che, quando nel 1986 fu ultimata la costruzione della stalla nella frazione Rua Inferiore, con il loro bestiame hanno costituito il patrimonio bovino della cooperativa stessa.
Nei 1000 mq del capannone prefabbricato è ricoverato il bestiame e depositato il foraggio. A questa prima costruzione si sono, poi, aggiunti:
Stalla sociale:
un deposito per gli attrezzi;
un locale mungitrici con l'impianto lattodotto;
un locale refrigerazione;
una stalla d'isolamento;
una platea esterna per insilati.
La stalla è provvista di un nastro trasportatore del bestiame, che scarica in una concimaia, e di una serie di macchinari per le operazioni di concimazione, fienagione, preparazione e distribuzione degli alimenti.
Il bestiame in origine era costituito da mucche di razza Valdostana e Grigia Alpina, poi è stato gradualmente sostituito con vacche di razza Bruna, più produttive ma anche sufficientemente rustiche da essere adatte alla zona.
Attualmente la stalla sociale accoglie una cinquantina di capi.
Per la riproduzione oggi viene praticata la fecondazione artificiale, con seme di tori selezionati; tale scelta ha portato ad un aumento della produzione di latte da 17 a 64 quintali per capo.
Intorno alla stalla vi sono pascoli di proprietà dei soci o di altri abitanti del paese per l'estensione di 90 giornate piemontesi (350.000 mq circa).
L'irrigazione è garantita da un impianto costruito dai soci che sfrutta la dell'acqua del torrente Brovino intubata per 2 Km. La fornitura del foraggio verde e di quello secco per l'alimentazione delle mucche è assicurata, nella quasi totalità, dai soci ed è questo anche uno stimolo per mantenere pulito un territorio, che altrimenti sarebbe rapidamente ricoperto da sterpaglie e boschi.
L'allevamento oggi
Il V Censimento Generale dell'Agricoltura, effettuato nel 2000, è suddiviso in sette sezioni di analisi, di queste abbiamo preso in esame le prime sei. Il numero totale delle Aziende censite è 19, di queste la quasi totalità, ben 18, è condotta direttamente dal coltivatore; i prodotti servono prevalentemente per il consumo familiare; infatti, 3 aziende hanno venduto solo parte dei prodotti, soltanto 2 li hanno venduti tutti, mentre le rimanenti hanno consumato quanto hanno coltivato.
Nessuno pratica la viticoltura e si può notare che l'adesione a società cooperative è limitata a 2 realtà, una sola fa parte di un'associazione di produttori. Dall'indagine è emerso che non vi sono seminativi. Per quanto riguarda, invece, le coltivazioni fruttifere, anche se su piccole estensioni, prevale la coltura delle mele per un totale di 30 are; le pesche e le pere occupano un'estensione pari a 27 are per ciascuna coltivazione.
Il terreno adibito ad orti familiari oscilla tra 1 e 5 are; prati e pascoli raggiungono un totale di 17,49ha, con un'estensione massima di 1ha per i prati e di 8ha per i pascoli; boschi e fustaie di conifere e latifoglie raggiungono una superficie tra le 18 e le 90 are; tra i cedui prevalgono quelli composti con 37,48ha, mentre quelli semplici ricoprono 25,49ha.
Nelle aziende 9ha, 14are sono la parte di superficie non utilizzata; invece altre parti sono occupate da fabbricati, cortili e strade poderali, ma anche destinate alla raccolta dei funghi.
Soltanto gli orti ed i prati permanenti, nell'anno considerato, sono stati regolarmente irrigati. Le abitazioni presenti nell'azienda sono occupate solo dal conduttore e dalla sua famiglia, non esiste alcuna attività agrituristica, ne vi sono impianti per la lavorazione o per la trasformazione dei prodotti del suolo.
L'allevamento di bovini consiste in vacche da latte, da carne e da lavoro ( da 2 anni in su); quelli di età inferiore ad 1 anno sono destinati ad essere macellati. Altri allevamenti riguardano conigli e pollame, ma non pulcini di un giorno prodotti con incubazione artificiale.
I mezzi meccanici utilizzati sono motocoltivatori, motozappe, motofresatrici, motofalciatrici ed alcuni trattori.
lo sviluppo dell'agricoltura
Negli anni più vicini a noi l'agricoltura ha perso molta dell'importanza che aveva una volta.
Questo fenomeno è precisamente documentato dai censimenti del 1961, 1970, 1982 e 1990: la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) nel 1970 era di 489,56ha, mentre già solo nel 1982 era scesa a 282,89ha.
Nel 1970 la maggior parte della SAU era adibita a pascoli e prati permanenti (451,93ha) e la superficie boschiva ricopriva 396,09ha. Invece nel 1982 la superficie di prati e pascoli permanenti era diminuita a 276,45ha a vantaggio di quella boschiva aumentata a 483,44ha.
La coltivazione della frutta nel 1970 era la più praticata, con 61 aziende ed una superficie di 23,82ha, come nel 1982, ma con un numero di aziende ridotto a Il ed una superficie di 5,73ha.
Nel 1970 esistevano coltivazioni ortive (40 aziende ed un'area di 1,2ha) e venne introdotta la vite, anche se su una superficie ridotta (13 aziende su 3,02ha); nel 1982 queste di coltivazioni erano già state abbandonate.
l'agricoltura nel primo '900
All'inizio del XX secolo la popolazione contadina delle campagne e delle montagne andava organizzandosi in leghe e società di mutuo soccorso di ispirazione prevalentemente cattolica, che rinsaldarono gruppi fino a quel momento inerti degli strati intermedi della popolazione. In quegli anni si rafforzarono i mezzadri, i piccoli affittuari e i piccoli proprietari: nel biennio 1907-1909 le leghe costituite in Italia furono 84 e anche a Canischio, alla fine del secolo, era stata fondata da un gruppo di cittadini la Società di Mutuo Soccorso Agricola Operaia con lo scopo di sostenere gli associati e provvedere al commercio di prodotti con prezzi calmierati. Nel 1915, quando il primo conflitto mondiale era ormai alle porte, i contadini non volevano la guerra. Il loro no al conflitto fu esteso ed omogeneo e non dipese da cause esterne, ne dalla condizione socio-economica: certo, man mano che ci si avvicinava alle zone più depresse ed arretrate, dalla pianura alla montagna, la passività aumentava, ma si trattava di un atteggiamento di rassegnazione proprio di chi si sente impossibilitato a ribellarsi.
Nel periodo a cavallo tra le due guerre, nel territorio di Canischio continuavano a svolgersi attività prevalentemente basate sull'agricoltura e sull'allevamento; in un panorama economico per lo più limitato al piccolo commercio locale e all'autoconsumo, cominciava ad emergere qualche attività commerciale destinata a luoghi diversi, ampliando il mercato: fu prima il commercio del legname, continuò quello delle mele, proseguì quello delle noci... finchè il boom economico e lo sviluppo dell'industria in pianura non diede il via a quell'emorragia di popolazione dalla montagna che ancora non si è arrestata. Città e campagna, ancora una volta, si dimostravano realtà antagonistiche nella storia d 'Italia.
la vita quotidiana
Fino alla metà del secolo ed anche un po' oltre, la vita quotidiana nel periodo invernale aveva come punto di riferimento la stalla, che era il luogo più caldo di tutta la casa. Nei mesi freddi, infatti, per scaldarsi si sfruttava il calore emanato dal bestiame e perfino i bambini erano partoriti negli ambienti caldi ricavati nella parte alta della stalla stessa. In quegli stessi luoghi si svolgeva anche la vita comunitaria, molto diversa da quella odierna, perchè tra vicini ci si incontrava la sera e si raccontavano gli avvenimenti dalla giornata. I discorsi si protraevano fino a tarda sera, che allora voleva dire verso le ore 22, non di più perchè al mattino bisognava svegliarsi presto per andare al lavoro. In estate il punto di ritrovo era l'aia. Chi si incontrava per parlare, però, erano per lo più gli uomini, perchè le donne rimanevano in casa a svolgere le loro quotidiane mansioni, a filare e a tessere, ad accudire bambini e vecchi. Questi ultimi solitamente passavano gran parte del loro tempo nella lobbia, cioè su un balcone coperto situato al primo piano.
Fino alla seconda guerra mondiale Canischio è stato un paese economicamente autosufficiente. V i erano due forni che producevano il pane; due mulini, uno dei quali è rimasto attivo fino alla fine degli Anni Quaranta, per rifornire i forni stessi; e ben tre locande, piuttosto conosciute, dove i forestieri e i villeggianti potevano sostare: la Società, l'albergo Argentino e la locanda del Black, situata dove attualmente si trova il tabacchino.
Negli Anni Trenta erano attive ben due banche e la lavorazione della canapa poteva contare su venti telai. Le ragazze filavano la tela di canapa per il corredo e, quando due volte l'anno passava l'uomo che comprava i capelli, esse si tagliavano le trecce e le vendevano. Con il danaro ricavato acquistavano del cotone, da filare insieme alla canapa per ottenere lenzuola più morbide, oppure la coperta bella per il letto di nozze. Non si usava un corredo molto ampio: sei lenzuola (tre sopra e tre sotto), due coperte (una bella per le feste e una più andante da usare tutti i giorni), qualche asciugamano e poca biancheria intima; soldi ce n' erano pochi e chi possedeva una casa la lasciava in eredità al figlio maschio.
Nella seconda metà del secolo le cose sono profondamente cambiate: i giovani hanno cercato lavori meglio retribuiti nelle fabbriche, hanno fatto studiare i propri figli e molte delle loro attività hanno cominciato a gravitare intorno ai più attrezzati centri della pianura. Lo spopolamento della montagna e l'invecchiamento della popolazione dei piccoli centri come Canischio sembrano fenomeni generalizzati e pressoché inevitabili. In paese sono rimaste poche persone, prevalentemente anziani, la scuola elementare è frequentata da 6 bambini soltanto.
Di recente si è stabilito in paese qualche forestiero... può darsi che l' aria buona del paese, tanto limpida da far brillare la luna, 'l sul 'd Canisciu, come se fosse il sole cominci nuovamente ad attirare non solo i villeggianti, ma anche dei nuovi abitanti.